domenica 25 dicembre 2011

Happy Holidays!

Giulia: L'albero di Natale auto-gestito

Leggendo la rubrica “Le Regole”, dedicata alle decorazioni natalizie, sull' Internazionale del 2 dicembre scorso sogghignavo divertita di fronte alla prima “regola”: “Non hai ancora cominciato? Sei già in ritardo”, e dentro di me ripensavo al sarcastico snobismo, con il quale avevo osservato i primi Babbi Natale simil-ladro appesi dalla metà di novembre lungo i terrazzi del mio quartiere.
Il 2 di dicembre non mi sentivo affatto nella condizione di dover rincorrere lo spirito natalizio, e così è stato fino al 7 dicembre quando è arrivata una mail dalla mia cara amica d'oltreoceano che recitava testualmente: “… approfittiamo di varie occasioni per celebrare e sentirci in festa; ho già fatto l'alberello …”.

Poi, giovedì 8 dicembre, l’altra mia cara amica “romana” visitando per la prima volta la mia nuova dimora, asseriva contrariata: “Ma, non lo fai l’albero di Natale?”, risposta: “Si, lo farò tra qualche giorno.
Infine, sabato 10 dicembre ho avuto la cattiva idea di invitare a cena una delle mie più sincere amiche, la quale entrando in casa ha esclamato: “Ma vergognati: non hai ancora fatto l’albero!”, e poi ha cominciato a descrivere quanto bello, alto e soprattutto carico fosse il suo albero di Natale.
A quel punto ho pensato che forse la regola, sulla quale avevo superficialmente sogghignato, non è poi tanto bizzarra, le decorazioni natalizie sono uno dei tanti doveri femminili, a cui difficilmente anche la donna più emancipata può sottrarsi.
La dead-line è tradizionalmente stabilita l’8 dicembre, addobbare la propria residenza dopo tale data significa non essere una brava moglie/madre/compagna.

A voler fare un po’ di analisi, le decorazioni natalizie rappresentano per me un vero trauma infantile, che probabilmente posso dire di avere superato solo alla tenera età di 32 anni. 
Nella tradizione familiare la preparazione dell’Albero di Natale è appannaggio esclusivo della mia mamma, a detta di tutti dotata di un’ineguagliabile senso estetico e di una manualità che purtroppo non ho ereditato (fatto di cui lei è sempre stata perfettamente conscia). Ricordo che, da ragazzina le chiedevo di poter fare l’Albero con lei durante il weekend, ma un bel giorno tornando a casa la scuola lo trovavo già bello che addobbato. Splendido ovviamente, con un tocco di originalità che lo distingueva da quello dell’anno precedente. A volte mi veniva concesso il privilegio di appendere alcune decorazioni in legno o in vetro, ma dopo qualche giorno, osservando il falso sempreverde, mi accorgevo che gli addobbi che avevo personalmente predisposto erano stati spostati più su o più giù di qualche rametto. La giustificazione di solito era: “così viene rispettata la simmetria”.
Dopo qualche anno ho smesso di arrabbiarmi per questo, meditando la mia futura soddisfazione.

Ebbene, il 2011 è stato l’anno della rivincita:
1 Albero di Natale (artificiale): 25,00 euro
5 metri di lucine bianche: 15,00 euro
12 Palline rosso/oro: 8,50 euro
3 metri di Nastro decorativo: 4 euro

Il primo Albero di Natale auto-gestito non ha prezzo!


Cristina: Il Natale Americano

In ordine sparso, tutte le cose strane, insolite, anche irriverenti o simpatiche ovvero che a me sembrano tali, di cui ho preso nota in questo Natale Californiano:
  • la temperatura esterna: il tempo è davvero bello, le giornate sono molto limpide e nelle ore più calde si può stare tranquillamente in maniche corte... happy tropical Christmas!
  • le auto addobbate: orecchie di renne e naso rosso alla Rudolph the red-nosed reindeer
  • le case sfavillanti di luci: in un quartiere di Redondo si trova addirittura l'indicazione tipo “sito artistico” Christmas Lights
  • i ristoranti chiusi il giorno di Natale: ma non sono loro ad essere i fan dei 24/7 e che il business è una priorità? … mah!
  • gli auguri politically correct: un diretto Merry Christmas potrebbe risultare offensivo, meglio restare sul generico Happy Holidays!
  • il regalo del Comune di Redondo: parcheggio gratis per 2 giorni, la vigilia e Natale. 
  • la festa del Hanukkah: la festa delle luci ebraica come celebrazione del Natale...  mah!
  • l'assenza del presepe: il tradizionale albero decorato e illuminato è facile da trovare, ma il presepe una vera rarità; al suo posto ho visto tanti Frosty the Snowman, babbi natale e personaggi Disney
  • il Babbo Natale sulla tavola da surf: ero rimasta a quello appeso alle terrazze che sembra o un ladro o un pazzo disperato che sta per cadere
  • i biglietti di auguri troppo personalizzati e troppo... scritti: dal papà, dalla mamma, dai genitori, dai figli ai genitori, dai nipoti ai nonni, a qualcuno di speciale, di Natale romantici, dai nonni, dal vicino di casa, dal padrone al cane, dal cane al padrone (sì proprio così... mah!), a tema religioso (ma non dovrebbe per definizione essere l'unico valido a Natale?), tropical, divertenti, dall'ufficio al boss... con mille poesie e frasi preconfezionate; è proprio una mania americana il concetto del tutto pronto, tutto veloce, dal fast-food al fast-greetings-card!
  • il giorno di Santo Stefano non è festivo: è un giorno di lavoro come un altro
  • Il pandoro, il panettone e il torrone non sono dolci tipici di Natale: non so in effetti quale sia il dolce americano tipico di questa festa; so che è tipico l'eggnog ossia uno zabaione con noce moscata e cannella
  • la vigilia non è giorno di pesce: ma noi invece da bravi Italiani abbiamo rispettato la tradizione
  • qualche strana canzone alla radio: tipo questa – Grandma got run over by a reindeer (la nonna è stata investita da una renna) che so essere di qualche anno fa ma che in Italia non avevo mai sentito... è simpatica ma un po' irriverente. 
E per aggiungere al post anche un nota esotica ecco a voi i miei Auguri di Natale:
Mele kalikimaka is the Hawaii's way to say Merry Christmas to you!!

sabato 17 dicembre 2011

Il... tofacchino

Recentemente, mentre facevo la spesa da Trader Joe's, una catena di alimentari molto gettonata perché vi si trovano prodotti di qualità tra cui parecchie bontà italiane, curiosando nel reparto frigo mi sono imbattuta in questa...
cosa qui sotto.
  

Senza offesa per nessuno, soprattutto per i vegetariani cui il “prodotto” è indirizzato, ma se proprio la carne non la si vuole mangiare perché volerla sostituire con degli improbabili surrogati derivati dalla soia? Carenza affettiva di proteine animali? Eppure non sarebbe difficile essere vegetariani con la dieta mediterranea: pasta, pizza e verdure a volontà, in mille modi appetitosi, senza nessun rimpianto per l'affettato di tacchino; ma qui è un altro mondo, qui siamo in America e il sandwich al tacchino è icona di identità nazionale... o il tofurky cioè il tacchino di tofu (tofacchino è una mia libera traduzione) viene venduto anche in Italia?

domenica 6 novembre 2011

Segnali e insegne

Forse un semplice "è pericoloso, non oltrepassare il limite" è sembrato all'amministrazione californiana troppo banale e magari anche poco efficace. 
Ma questo cartello con la chiusa finale è tutta un'altra cosa. Non sembra anche a voi dire:
"Ehi tu, lo so bene io, ti vedo, brutto discolo, che hai una voglia matta di scavalcarla la staccionata!! ma toglitelo proprio dalla testa, non ci pensare neanche..." Appunto.
E chi osa sfidare un avviso così?





domenica 30 ottobre 2011

Creepy Halloween

L'eloquenza delle immagini...


Redondo Beach
Hermosa Beach
La nostra prima zucca intagliata


giovedì 6 ottobre 2011

“ Il mondo è stato fatto per gli uomini, e non per le donne”

Ho 37 anni , per la società una giovane donna
Per il mondo del lavoro “fuori dal mercato”.
Ho una laurea 110 e lode, anni di studio all’estero, specializzazioni e master
Per il mondo accademico “non sufficientemente preparata
Per il mondo del lavorotroppo qualificata
Per lo stato civile “coniugata
Per la Chiesa “depositaria di una nuova vita
Per la medicina “al limite dell’età fertile
Per lo Stato “un’ottima contribuente
Per mio marito “una donna importante
Per il mondo del lavoro una “segretaria efficiente”.

Al bar “signorina, cosa prende?”, sono una donna laureata
Al bar “dottore, cosa prende ?” , è un uomo senza laurea
Al telefono: “Signorina, ho capito, ma posso parlare con un suo superiore?”
Al telefono: “Dottore, la ringrazio infinitamente”.
I dirigenti a me: “Cara, andrebbe a comprarmi il giornale?”.
I dirigenti all’uomo senza laurea: “Carissimo, tutto bene? Andiamo a pranzo?” (pacca sulla spalla).

Ho un’esperienza  di lavoro di 10 anni: capo reparto, capo settore, buyer, area manager retail.
Il mio premio:  “Ci farebbe un caffè?”.
Ho gestito persone, soldi e uffici, ora sono  “la  ragazza che ….”.

Non importa chi sei, cosa hai fatto e cosa sai fare, qualcuno avrà sempre bisogno di piazzare una figlia, una parente o l’amante al tuo posto.
Non importa se hai la stoffa e la voglia di affrontare una sfida lavorativa più ambiziosa, qualcuno meno dotato ma più sfacciato di te, ha già preso quel posto.
Non importa se hai sempre lavorato onestamente e a testa bassa, qualcuno sta già pensando a come farti le scarpe.
Non importa se non ha mai danneggiato l’immagine della società o delle persone per cui lavori, nessuno ti chiederà di indicarlo sul curriculum né ti riconoscerà alcunché.

Ho 37 anni, sono una donna, felice di esserlo!

giovedì 22 settembre 2011

La pubblicità in TV

Cristina - USA today 

Non guardo molto la televisione, anche se per esercitare l'orecchio pure l'insegnante d'inglese, da cui prendevo lezione nei miei primissimi tempi americani, me l'aveva consigliata come valido strumento didattico. Dopo oltre 2 anni di breve ma costante esercizio una cosa è certa: ho sicuramente un problema di udito.
Ma come succede a quelli un po' “duri d'orecchi” che almeno capiscono quando gli si parla ad un tono più alto (leggasi urlare!) così anch'io ho imparato a capire bene, sì piuttosto bene direi, la pubblicità! 
Sarà perchè durante l'interruzione pubblicitaria il volume aumenta automaticamente di almeno 4 o 5 toni?
Questa pratica è tipica anche della TV italiana e sicuramente avrà lo scopo banale di attirare l'attenzione dello spettatore che se non è abbastanza veloce a fare zapping si ritrova il timpano lesionato o il vicino di casa che lo querela per disturbo della quiete pubblica, ma è piuttosto fastidiosa.
Altra “finesse markettara” (neo-locuzione per una riflessione del tutto personale) che la mia incompetenza linguistica mi permette di cogliere nella pubblicità televisiva americana, per fare in modo che il messaggio arrivi a tutti, ma proprio a tutti e quindi anche all'orecchio campanaro della sottoscritta, è non solo l'utilizzo di un inglese corretto e semplice oserei dire da accademia, concetto scontato, penserete... vero aggiungo io, ma soprattutto di una pronuncia nitida e pulita senza contrazioni o ingestioni della parte finale delle parole, tipico invece della parlata comune: e questo non è affatto un principio scontato!
Non è un caso infatti che ormai capisca la pubblicità al 99,9% mentre se guardo un film la percentuale di successo precipita con vergogna al 70% circa, volendomi bene.
Perchè quindi non raccontare di ciò che finalmente ho imparato a capire anche senza concentrarmi sul labiale?

Qualche giorno fa, stavo guardando un programma sul mio canale preferito, food channel, e come previsto ad un certo momento parte un “commercial”. Nessuna musica o filmato ma un'immagine fissa tipo comunicato da edizione speciale e la voce di un operatore che formula la seguente domanda sibillina, in tono allarmista: “hai un'età compresa tra i 35 e gli 80 anni?” ...mmh, sì, rientro nel range.
“Hai mai pensato al tuo funerale?” … no! e... tiè! O cavolo, non faranno mica delle offerte sulle bare?
E ancora la voce: “e quanto i tuoi parenti dovranno pagare per te?” … mavva...!! (licenza poetica).
Però curiosa ascolto e scopro che si tratta di un'assicurazione sulla vita che include anche la copertura per le spese del proprio funerale! Domanda semplice a me stessa: “perchè non ho fatto zapping come al solito?”
Non vivo in Italia da 2 anni, perciò non so se qualcosa è cambiato nel frattempo, ma circolano pubblicità simili? Vengono trasmessi gli spot del “menagramo”?
Qui abbondano.
Ecco allora il tormentone degli studi legali che vanno a caccia di clienti nel mare magnum delle disgrazie con insistenti comunicati da “non attorney spokesperson” che ti elencano malattie e malanni di cui non hai mai sentito parlare …oh, quanto mi manca la famigliola del Mulino Bianco!
La corsia parallela è dedicata nello specifico alle disgrazie finanziarie e così ti sorbisci una sfilza di consigli interessati di agenzie che promettono di risolvere tutti i tuoi problemi economici ...quando si parla di miracolo e sogno americano: ahh, poterci credere!
La malattia in genere è molto redditizia e quindi fioccano gli spot di medicinali vari compresi quelli per cui è necessaria la ricetta medica; si parte dai cerotti per curare l'artrite, dalle pomate per dolori vari, dall'antibiotico da banco per le piccole ferite, si passa per la pastiglia che cura la vescica iperattiva (bere un po' meno no?), per la sostanza che fa smettere di fumare, per la pillola e altri dispositivi anticoncezionali (ops, tabù!), per il viagra (ops, altro tabù!) e per molto altro ancora e si finisce con i medicinali contro la depressione che se per caso sei di buon umore mentre viene trasmessa la pubblicità, ti senti in colpa, ma così in colpa!
Penserete che vengano messi in onda in tarda serata o di notte e invece no, passano tutti nel tardo pomeriggio e nella prima serata, forse anche nel primo pomeriggio ma come ho già detto non guardo molto la tv e quindi in effetti non so.
 Come non nominare inoltre il problema obesità molto diffuso negli States che in ambito commerciale ha una valenza tridimensionale ? (non ridete che non è una battuta... è un concetto ragionato! )
Da un lato si insiste sul “che bello mangiare queste schifezze che fanno ingrassare ma son goduriose e ti senti felice e risparmiatore” visto il basso prezzo a cui vengono vendute, dall'altro ci sono mille proposte per poter dimagrire e da ultimo gli attori degli spot, emeriti sconosciuti e ben rappresentanti l'americano medio, sono belli paffuti, donne comprese.

E se questo non fosse sufficiente per sottolineare le differenze con l'Italia aggiungo che la pubblicità comparativa è permessa e sembra non causi gravi danni di immagine e perdita di quote di mercato al concorrente denigrato (la rima ci sta, no?). Chi è che diceva: “...anche male purchè se ne parli?”

Giulia - Spot made in Italy: la meglio TV?

Sono stata incollata alla TV per tre sere di fila, quindi lo posso affermare con cognizione di causa: in Italia uno spot televisivo su tre tenta di venderti un’auto.
Questa non è una novità, si sapeva già.
 Ma durante lo svolgimento di questa mia mini-ricerca serale, mi sono imbattuta in un caso piuttosto singolare di perfetta contrapposizione pubblicitaria tra due spot che al momento spopolano.
Il primo, di una nota casa automobilistica (tanto per cambiare), denigrando la figura dello “YES man”, invita l’inerte spettatore a rifiutare le convenzioni, l’omologazione e a scegliere un’auto che faccia risaltare la forte personalità e l’originalità dell’acquirente (una riflessione a questo punto sorge spontanea: ma se quel modello viene prodotto in qualche miliardo di esemplari in tutto il mondo, siamo proprio sicuri che acquistarla mi renderà unico? Ai posteri l’ardua sentenza!).
Il secondo invece promuove la “bionda”premium nazionale (leggi Nastro Azzurro), inneggiando al coraggio di dire sì (anche ad amici noiosi, genitori onnipresenti, etc…) in un tripudio di creatività, solarità, sorrisi ed abbracci (che nelle intenzioni dei pubblicitari dovrebbero incarnare il meglio dell’italianità).
Una sera, ho visto le due pubblicità andare in onda una dopo l’altra, ed istintivamente ho pensato che se le rispettive agenzie pubblicitarie avessero cercato un simile parallelismo, probabilmente nemmeno in dieci anni l’avrebbero trovato.
In fin dei conti il concetto è molto semplice e tutto sommato nemmeno così contraddittorio: che tu sia un militante del partito del “sempre-SI” o un attivista della fazione del NO: bevi birra Nastro Azzurro e compra una Citroen.
Un dubbio però si è insinuato in me: e se l’agenzia pubblicitaria fosse la stessa e tutto questo facesse parte di un cervellotico scherzo da copywriter?
Nooooo, mica siamo  in America!

Un’altra tipicità tutta italiana è quella di mandare in onda spot dei prodotti diciamo “meno nobili” all’ora dei pasti. Tra le 19.30 e le 21.00, infatti, sulle principali reti televisive si possono trovare carrellate di spot che vanno dal tenero pannolino alla pomata per le emorroidi, dal carbone attivo al deodorante per wc, per finire con il rimedio per il “fastidioso prurito intimo” e l’assorbente intimo con le ali.

Su tutto questo bell'ammasso di simpatica promozione Luciana Litizzetto ha fondato (non a torto, dico io)  il suo impero comico.
Dai libri alle trasmissioni radio e TV, il piccolo folletto torinese non perde occasione per fare appelli scanzonati ai pubblicitari che sfornano trovate “geniali” per i prodotti più improbabili.
Qualche anno fa Luca Carboni cantava: “contro la noia della TV guardare solo la pubblicità …”. Visto ciò che ci aspetta se accettiamo questo invito, rispondo cortesemente: anche no!

venerdì 29 luglio 2011

Allo stadio

Il mio ing.: “mi raccomando, devi essere pronta alle cinque in punto: dobbiamo passare a prendere Craig e abbiamo quasi un'ora di strada da fare nella 405 (sì, sì proprio quella che persino recentemente i giornali italiani hanno citato per alcuni lavori stradali che avrebbero dovuto causare quello che qui, questi Americani burloni, hanno definito 'carmagheddon': secondo voi com'è andata a finire? Ovvio, solo qualche coda e traffico un po' rallentato ma nulla di più!!)”
Perchè si preoccupa sempre della mia puntualità? Mah!...
Alle 17 e zero zero sento la porta di casa aprirsi: “ciao, sono qui! Sei pronta?
Io: “quasi, quasi.  Ancora 5 minuti”.  Ahh... ecco perchè!

Insomma, dopo 5, diciamo 8 per amor di precisione, minuti, partiamo, recuperiamo al volo, quasi letteralmente, Craig e ci dirigiamo veloci (si fa per dire, è l'ora di punta e il traffico è molto, molto intenso) verso la nostra meta ad Anaheim: il La Angels Stadium.
Alle 19.00 inizia la partita: Angels, la squadra ospitante contro Mariners, la squadra di Seattle.

Arriviamo una mezz'ora prima dell'inizio dei giochi, appena in tempo per rifocillarci e come è facile immaginare c'è l'imbarazzo della scelta nelle tipologie di cibo, tutto comunque classificabile nella categoria schifezze, un “must” quando si deve mangiare allo stadio o almeno così l'ho sempre immaginato, dato che allo stadio, per un evento sportivo, non ci sono mai, ma proprio mai andata: Hot-dog, pizza, panini con salsiccia, peperoni e cipolla, tacos e burrito messicani, hamburgher e patatine fritte e un intero ripiano (gratis) di barattoli giganti con salse di tutti i tipi, cetriolini sottaceto (pickles) e peperoncini verdi piccantissimi (jalapenos).

La folla è notevole (scoprirò in seguito essere composta da circa 43.000 esseri umani) e a me fa una certa impressione; ero già stata a qualche concerto molto partecipato, ma non così tanto.
Prendiamo posto, ci sistemiamo e già veniamo travolti dall'aria di festa e un po' per confonderci e un po' per partecipare, indossiamo i cappellini rossi della squadra di casa che ci hanno regalato all'ingresso.
L'inizio ufficiale della partita è preceduto da un momento solenne particolarmente sentito dagli Americani: l'inno nazionale che in questo caso è eseguito, in versione strumentale, dal chitarrista dei Pearl Jam, Mike Mccready... ah, no? E tutti con la mano sul cuore!
Noi siamo in piedi per rispetto come si conviene in queste situazioni, ma senza ovviamente gran coinvolgimento: “speriamo che i nostri vicini di gradinata non se la prendano a male per la nostra scarsa dimostrazione di patriottismo!

E poi via con il primo lancio... a proposito, se ancora non si fosse capito, stiamo assistendo ad un incontro di baseball!
Conosco abbastanza le regole del gioco, antica reminiscenza scolastica, per cui riesco a seguire facilmente la dinamica della partita senza annoiarmi troppo; in effetti il baseball, anche se giocato da campioni, è piuttosto lento e per questo un po' noioso. Ma alla fine a pensarci bene, anche se non capissi proprio niente, neanche chi sta vincendo o perdendo, mi divertirei lo stesso anche solo osservando la gente e le sue reazioni: viva la varietà e la stranezza!

E poi come si può stare seri durante il momento della kiss cam? Quando cioè una telecamera inquadra a sorpresa delle coppie vere o casuali e queste sono invitate a baciarsi? E nessuno si rifiuta di adempiere ad un così gravoso onere? Una scena è bellissima: vengono inquadrati un ragazzo dall'aspetto normale e una ragazza molto carina che, si capisce al volo, non sono una coppia, probabilmente amici in un gruppo più ampio e il ragazzo mima un gesto dal significato inequivocabile: “sììì, e vai!!! e quando mi ricapita?”
La ragazza non sembra molto entusiasta ma sta simpaticamente al gioco; inutile dire che si baciano e lo stadio letteralmente esplode in una risata e un applauso fragoroso.
Per fortuna, per noi niente bacio pubblico... sarei diventata del colore del cappellino indossato: rossa anzi rossissima!
Ma non è finita qui: arriva anche il momento dello stretching e dopo quasi 2 ore e mezza di gioco è provvidenziale per sgranchire i muscoli e quindi tutti in piedi a fare esercizio al ritmo di una canzone interpretata da una ragazzina dalla voce potente, probabilmente vincitrice di qualche talent-show (ce ne sono così tanti qui!).

La partita prosegue per un'altra ventina di minuti, con un'ultima interruzione, il momento della bubble cam in cui lo sfortunato spettatore ripreso viene brutalmente deformato suscitando divertimento insieme a non poco orrore e termina, al nono inning, con la vittoria degli Angels, per la somma soddisfazione dei tifosi di casa.
Il buio è ormai sceso e disegna lo sfondo perfetto per brevi ma scoppiettanti fuochi d'artificio, luminosa conclusione di una serata davvero colorata.

venerdì 8 luglio 2011

Now, you may kiss your bride

...Vi dichiaro marito e moglie” e “ora puoi baciare la sposa".  
Ci siamo talmente abituati a sentire nei film americani questa formula per la celebrazione del matrimonio che è entrata nel comune immaginario come universale, nonostante invece sia tipica del rito protestante che in Italia non mi pare sia così diffuso come invece quello cattolico in cui di tale formula non vi è neppure l'ombra. E neppure nel rito civile tale espressione, così familiare quando si parla di sposi, viene assolutamente pronunciata a meno che il sindaco o l'assessore incaricato non sia un fan delle commedie romantiche hollywoodiane.
Ma da quando sono qui, in California, mi sono resa conto che non è la realtà ad imitare la finzione cinematografica ma è la produzione hollywoodiana a dare uno spaccato veritiero della realtà locale: trattasi dunque di docu-film e penso sia ovvio a quale filmografia mi riferisco.

Essere invitati ad un matrimonio non era davvero previsto nel nostro calendario degli eventi americani e quindi non immaginate la sorpresa quando qualche settimana fa questo è accaduto.
L'entusiasmo per l'eccezionalità del fatto si è trasformato subito in preoccupazione dopo la lettura dell'invito: come mai? La scelta predefinita da parte degli sposi dei colori della festa non vi mette una certa apprensione? A voi forse no, ma a me sì! E se poi questi colori sono il viola e l'argento? Ahh... anche a voi adesso!
Per fortuna la magnanimità degli sposi consente agli invitati di optare tra tutte le sfumature del viola e del grigio chiaro e... anche altri colori se proprio non si può fare altrimenti.

Ovviamente di viola non ho niente e di grigio chiaro qualcosa, ma non abbastanza elegante per una cerimonia e il mio ing. si trova esattamente nella stessa situazione: ha un vestito grigio per queste occasioni ma è scuro, quasi nero che forse con un po' di fantasia potremmo far passare per argento antico.
Nonostante impegno e buona volontà non riesco a trovare nulla di viola o di grigio abbastanza sobrio che sia in linea con il mio stile, non so un banalissimo tubino... agli Americani piacciono tanto i lustrini, le pietre quello che loro chiamano con fierezza “a lot of sparkling”.
Alla fine, ma proprio all'ultimo, praticamente il giorno prima, dopo aver setacciato anche i fondi di magazzino di tutti i centri commerciali e persino delle boutiques di Redondo, scovo e compro un vestito che può adattarsi alla situazione avendo qualche sfumatura grigia e che non mi sta poi così male.
Più semplice invece si rivela la possibilità di onorare i colori del matrimonio con la confezione del regalo: due belle scatole viola chiaro con un bel fiocco argento... e la nostra bella figura è assicurata.

Lo stile della festa è semplice e piuttosto sobrio (colori a parte, ok) e come al solito è tutto perfettamente organizzato, non sono previsti fuori programma.
Non è solo la sala minuziosamente addobbata con gli spazi degli eventi ben definiti, l'area della cerimonia, le sedie allineate per gli ospiti, i tavoli per la cena, la zona “dance”, il bar e il tavolo per il the, i caffè e i cappuccini finali a trasmettere la sensazione di una studiata e attenta regia ma è proprio il programma della giornata, messo a disposizione di ogni invitato, che supporta la mia affermazione.
Come si intuisce, il tutto si svolge in un'unica sala (come nei film appunto!) che in questo caso ha pure il pregio di affacciarsi sull'oceano offrendo all'avvenimento una perfetta cornice romantica.
La cerimonia nuziale è prevista alle ore 17.00, è celebrata da un'officiante donna e si chiude, dopo lo scambio dei voti, con il rito della mescolanza della sabbia che simboleggia la nascita di una nuova famiglia secondo i principi religiosi protestanti. Manco a dirlo la sabbia che rappresenta gli sposi è viola e grigia mentre bianca è quella che raffigura Cristo.
Dalle 17.30 alle 18.00 gli ospiti sono intrattenuti con musica e stuzzichini mentre gli sposi fanno le consuete foto; alle 18.00 è servita la cena... e non è un'eccezione, gli Americani cenano sempre alle 6 di sera!

Dispiace dirlo, ma non ci si abbuffa proprio, anche se il cibo è gustoso... insalata di antipasto (come nei film... sono noiosa ormai, ma è più forte di me!) e poi un piatto principale a base di carne, quale? Sempre lui, tapino, il solito pollo, non nel senso del solito fesso, ma proprio perchè di chicken si tratta.
Non si deve però pensare che sia un menù povero o trascurato, il pollo (il petto ad essere pignoli) è servito sempre anche nei migliori ristoranti... mi viene quindi il dubbio: “gli Americani consumano tanti polli perchè ne allevano troppi o viceversa?”
Se in Italia ti rifilassero petto di pollo, sia anche con l'oro, ad un pranzo nuziale le critiche più feroci non sarebbero risparmiate, ma negli States è tutta un'altra storia e quando ormai le usanze locali sono ben note non resta che adeguarsi e capita pure di ritrovarsi a disquisire sulle qualità di diversi petti di pollo assaggiati qua e là.

Alle 19.30 è prevista la prima danza della nuova coppia e poi ballo e musica fino alle 20.30 momento in cui gli sposi effettuano il taglio della torta, bianca a piramide con bordi viola, ovviamente.
Alle 21.00 il programma riporta il lancio del bouquet e alle 21.30 i saluti finali.
Dov'eravamo esattamente alle 21.30 (vabbè dai diciamo 21.35)?
In macchina sulla strada verso casa! 

lunedì 4 luglio 2011

Buon Independence Day!

Barbecue, pic-nic, feste, sfilate, fuochi d'artificio, il discorso del Presidente alla TV, un continuo sventolio di bandiere a stelle e striscie mentre risuona l'inno nazionale: questa è l'immagine che automaticamente si crea nella mia mente quando si parla di 4 luglio, la festa federale per antonomasia negli Stati Uniti
Sembra sia uno dei pochi giorni in cui, nell'America dello stacanovismo e dell"open 24/24 hours", si riprende fiato e si festeggia ... finalmente!
Quindi a chi si trova al di là dell'Oceano ... Buon Giorno dell'Indipendenza! ;-) 

domenica 19 giugno 2011

Burocrazia ed efficienza: are you kidding me?

Prendo spunto da un post del blog “Vita a San Diego” relativo all'obbligo civile di prestare servizio come giurato, per sottolineare l'efficienza della burocrazia americana.
Per sapere come funziona la procedura, la lettura del post indicato potrà fornirne i dettagli, esclusi però quelli che riguardano l'assolvimento dell'obbligo stesso e la sua conclusione.
Sarà pure una coincidenza ma la scorsa settimana proprio il mio Ing. è stato protagonista di questa inusuale (per noi italiani, si intende) esperienza (sì, lui possiede tutti i requisiti richiesti: hurrà che fortuna!).

Il rito prevede che il “precettato” - non ci si può infatti sottrarre a tale obbligo a meno che non si abbia una giustificazione grave e plausibile - chiami l'ufficio del tribunale ogni giorno a partire dal precedente a quello stabilito per l'udienza, per sapere se l'indomani deve presentarsi o meno nella sede del processo.
Può infatti capitare che nei giorni di precettazione (di solito 5 o 7) non venga richiesta l'effettiva presenza in aula perchè magari la giuria è già stata formata da altre persone selezionate fino a quel momento da accusa e difesa; in questo modo l'obbligo viene assolto, diciamo, con la sola reperibilità.

La maggior parte delle volte però accade che in tribunale ci si debba proprio andare: così è infatti per il mio Ing.
Si tratta di una causa civile, per fortuna, certo impegnativa dal punto di vista della responsabilità nei confronti della realtà finanziaria di qualche sconosciuto, ma almeno non si manda in galera nessuno.

Prima di accedere alla selezione vera e propria come potenziale giurato, in cui gli avvocati della difesa, dell'accusa e il giudice rivolgono domande personali e poi specifiche sul caso da trattare, per testare l'imparzialità del candidato, (pare di vedere una scena di Perry Mason o del più recente Law and Order) si deve partecipare ad un mini-corso formativo con esamino finale – si può fare tutto on-line – con tanto di rilascio di attestato di idoneità.
Così si impara che la durata massima di un processo civile è di sette giorni (avete capito bene: sette giorni!!!), che ogni giorno di servizio viene retribuito con 15 dollari e un rimborso chilometrico e che l'assolvimento del jury service ti libera per almeno un anno e se sei fortunato per un periodo anche più lungo. Ecco spiegato il motivo per cui le aziende prevedono, tra i motivi di assenza del dipendente, oltre alle festività e alle ferie, anche quello di “giurato”.

Il mio Ing. se la cava con un giorno e mezzo di lavoro, uno di selezione e dibattimento e mezzo per la delibera della giuria: se non è efficienza questa!
Infine il rilascio del certificato, che attesta che si è prestato servizio di giurato, chiude tutta la procedura.
Tirando un sospiro di sollievo come a dire “bene, fatto anche questo, ora per un po' non ci penso più” viene archiviata tra le esperienze esclusivamente americane anche la settimana del giurato.
E soltanto 6 giorni più tardi, arriva via posta, in una insospettabile busta, una gradita sorpresa: un bell'assegno di 16 dollari!
Ma con chi credevamo di avere a che fare? Qui non si scherza mica!

venerdì 17 giugno 2011

Istantanee da un trasloco

Perché  ogni lunedì la mia settimana si apre con la lettura delle opinioni di Tim Harford?
Sarà perché Tim Harford incarna la versione economica di Charlie Eppes, il protagonista di Numb3rs, serie televisiva che apprezzo particolarmente, malgrado la mia atavica avversione alla matematica.
Sarà perché fin dai tempi della scuola ho sempre ammirato chi cercava di spiegarmi concetti complessi con esempi chiari e tangibili, applicando alla vita di tutti giorni teorie all’apparenza puramente dottrinali.
O più semplicemente sarà perché mettono di buon umore, sono divertenti, sarcastiche e per quanto la risposta abbia una motivazione apparentemente inaspettata o esageratamente tecnica, il consiglio che se ne ricava è sempre dotato di un inconfondibile buon senso, come nella migliore tradizione de “La posta del cuore” (vedi per esempio “Il suicidio si rimanda” del 09/11/2010: per convincere l’aspirante suicida a rinunciare al suo progetto si tira in ballo addirittura la teoria delle opzioni reali!).

Così nei trafelati giorni del trasloco non ho potuto fare a meno di ripensare ad uno degli articoli di Tim, intitolato “Vivere insieme”, non tanto per la problematica legata alla convivenza e vendita dell’appartamento, problema che nel nostro caso non sussiste, quanto per la riflessione squisitamente pratico-operativa che quell’articolo mi ha ispirato, ovvero: ma come fa quel disgraziato a gestirsi la vita in due case? Come fa a ritrovare le sue cose?
A più di un mese dal trasloco nella nostra nuova casa non è raro sentire urla primordiali quali: "ma dov’è finita la mia polo blu/la cucitrice/le ciabatte da piscina/il pettine a denti larghi …?”. La risposta riguardo all’ubicazione dell’oggetto nel 90% dei casi è: “l’hai lasciato di là!”, quando per “di là” si intende il precedente domicilio, con il risultato che la citazione conclusiva è: “ricordami che quando passiamo lo andiamo a prendere!”.
Inoltre il termine “casa” ha assunto nell’ultimo periodo un significato per noi quanto mai aleatorio, si ripetono infatti spessissimo le stesse conversazioni telefoniche: 
“Dove sei?”
“Sono a casa”
“Quale?”
“La nuova” (e sottolineo che il tono a questo punto della conversazione è leggermente scocciato).
Così per evitare inutili disquisizioni logistiche, abbiamo deciso di indicare la nostra posizione con il nome della località geografica in cui si trova l’abitazione.
A voler essere cinici dunque nel caso specifico non avrei dubbi: indipendentemente dal valore conferito alla storia d’amore in corso, venderei l’appartamento.
Il rapporto con il mio compagno potrebbe provocarmi dei gran mal di testa, i quali però sarebbero sicuramente inferiori rispetto a quelli che dovrei patire nel caso in cui la mia routine, già di per sé convulsa, fosse divisa tra due case … avere UNA vita in un’UNICA abitazione non ha prezzo, per tutto il resto ci sono buone dosi di pazienza e di camomilla! 
Giulia

mercoledì 15 giugno 2011

The Liberty Bell

Il mio Ing. ed io abbiamo una grande opportunità: poter visitare le città più importanti o almeno le più note degli Stati Uniti a costi inferiori rispetto ad una partenza dall'Italia e riducendo drasticamente le ore di volo.
Il primo aspetto della vicenda non mi lascia indifferente, anzi rappresenta assolutamente un buon incentivo, ma il secondo è davvero il mio bonus viaggio, il reale premio-vacanza!
Quindi perchè non approfittare? Detto, fatto... più o meno, dai, impegni di lavoro, ferie e salute permettendo: e così si parte alla scoperta della costa est.

Facciamo più tappe ammirando e imparando molto della storia e delle abitudini americane non mancando di fare i confronti con la California, rilevando qualche affinità ma soprattutto differenze che ce la rendono sempre più gradita e il clima fra queste non occupa proprio l'ultimo posto.
Molte cose ci affascinano nelle città che visitiamo: il brulichio frenetico di alcune vie principali, l'ordine e la vivibilità di alcuni centri, la vegetazione ricca e rigogliosa, l'umidità e la densità della nebbia che nulla hanno da invidiare a quelle della Val Padana, la verticalità estrema dell'architettura, la riuscita combinazione di antico (ma sì, concediamoglielo!) e moderno e infine la generale omologazione, “che sa tanto di America”, a partire dal cibo, passando dalle varie catene di negozi di tutti i generi per finire con l'abbigliamento.

Ma una cosa in particolare mi colpisce e di questa vorrei raccontare.
Quando si passa per Filadelfia anche nel tour di una sola giornata è inevitabile, quasi fosse un dovere morale, visitare il museo dove è custodita la “Liberty Bell” (la campana della libertà) così definita perchè al suono dei suoi rintocchi i cittadini nel 1776 furono invitati alla pubblica lettura della Dichiarazione di Indipendenza che sancì la nascita degli Stati Uniti d'America come nazione nuova e libera dal dominio inglese.
Da questo episodio altri ne seguirono, attribuendo di volta in volta alla campana della libertà un valore simbolico e specifico del particolare momento storico vissuto (ad ex: la libertà e l'uguaglianza reclamata dagli Afro-americani negli anni della segregazione razziale e ancor prima la lotta per l'abolizione della schiavitù).
Non è certo la sua artistica fattura ad attrarre la mia attenzione, ad essere onesti non è neppure bella, è... una campana!
Ciò che invece è in bella evidenza è una crepa larga almeno 2 cm che corre lungo tutto il suo corpo e che mi fa immaginare un fervente sostenitore della libertà dal rintocco troppo energico.
Però quella crepa così vistosa mi dà proprio fastidio: “perchè non l'hanno aggiustata?” “Rappresenta forse l'istante rubato al fluire del tempo in cui qualcosa di clamoroso è accaduto?"
Cerco la risposta tra le didascalie offerte dal museo (confesso che non so nulla in merito a questa campana, mi scuso per l'ignoranza) e la trovo; è a dir poco sorprendente: la campana possiede questo solco fin dalla sua prima fusione e nessuno è mai stato in grado di chiuderlo ed eliminarlo.

Ho una strana sensazione mentre leggo la storia della campana e di tutti gli avvenimenti ad essa legati: quella crepa... continua a darmi fastidio.
Se ne esalta il significato simbolico di libertà, di eroismo e di riscatto dell'essere umano dalle prevaricazioni, ma percepisco di fondo una nota stonata (sarà la crepa?).
Perchè sono riluttante ad entusiasmarmi alla lettura dei principi di uguaglianza e libertà sanciti nella dichiarazione di indipendenza? Perchè l'emendamento più importante della costituzione americana, il primo, che sembra così strettamente correlato alla vita reale e simbolica della campana, mi lascia perplessa?
Non riesco in effetti ad associare con facilità tali affermazioni illuminate ed universali ad un qualche evento storico successivo alla loro proclamazione. La colpa è sicuramente della mia ignoranza o della mia coscienza polemica, che dispettosa mi suggerisce: “ e i nativi americani? E gli schiavi? E la segregazione razziale legalizzata fino quasi alla fine del 20° secolo? E il latente ma perseverante razzismo? E le guerre? E la pena di morte? e... no basta, mi fermo qui, mi sembra abbastanza!

Sono consapevole che la mia spiegazione della crepa sulla campana è del tutto personale e non suffragata da alcun elemento reale e razionale, è solo una giustificazione sentimentale, ma non è, almeno per me, meno emblematica del significato della campana stessa.
Quella crepa che nessuno riesce a rinsaldare mi appare come un monito: la libertà e l'uguaglianza fra gli uomini sono la meta di un percorso in salita che forse non si potrà mai raggiungere ma che solo ogni tanto si scorge, a brevi tratti, durante il viaggio.

venerdì 22 aprile 2011

Buona Pasqua a voi!

Per me non sarà proprio un weekend di "vacanza" ... ma sarò comunque esattamente dove desidero stare, a fare quello per cui ho "lavorato" in tutti questi mesi, con la persona che sarà la mia famiglia ... quindi per me sarà una Pasqua perfetta!
A voi auguro di trascorrere un weekend pasquale di relax e di gioia ... e che il sole ci assista al di qua e al di là dell'Atlantico!
A presto,
Giulia

mercoledì 20 aprile 2011

Hmm...





Poi non dire che non ti avevo avvisato

'Alcune sostanze chimiche riconosciute dallo Stato della California come causa di cancro, di malformazioni neonatali o di altri danni riproduttivi, possono essere presenti nel cibo e nelle bevande vendute o servite qui.'

Questo è l'avviso a tutti gli avventori che i ristoranti californiani mettono in bella mostra nei loro ingressi. Non so se sia il ragionamento statistico (ma deve capitare proprio a me?) o la pura incoscienza (ma sì, che sarà mai!) sta di fatto che non ho mai visto nessuno uscire e rinunciare alla cena per la preoccupazione, anzi... dovreste vedere poi che piatti!


Inutile dire che il mio Ing. ed io, con lo sguardo perplesso e un po' beota, credo, come quando non riesci a distinguere se ti stanno prendendo in giro oppure sono serissimi, formuliamo sempre la magica frase: “un tavolo per due, grazie”.


Fido Fountain

E' domenica pomeriggio ed il mio Ing. ed io ci stiamo finalmente rilassando, riscaldati da un bel sole limpido, seduti su una panchina in un piccolo giardino pubblico da cui si ammira il mare dall'alto, quasi al termine della passeggiata sul lungo-oceano di Redondo.
Ecco cosa attira la nostra attenzione!
Fido fountain - dogs only please

Senza offesa, ma per me è il caso di dire: “Son proprio strani 'sti Americani!

E i gatti potranno usare la fontanella per dissetarsi? Non lo sapremo mai.




giovedì 7 aprile 2011

Take care...

Cristina: American Healthcare System

Capita sempre nella vita, prima o poi, di avere bisogno di un dottore ed infatti puntualmente l'occasione si presenta anche qui, in America.
Abituata ad un servizio sanitario nazionale pubblico, anche con tutte le pecche di quello italiano, ma rassicurante nella sua presenza e disponibilità per tutti, il mio approccio al sistema statunitense, basato praticamente solo su strutture mediche private, è sempre piuttosto diffidente, non tanto per la qualità dei servizi offerti, che pur nella mia limitata esperienza ho trovato ineccepibili, quanto per l'inevitabile dubbio amletico: accetteranno o no la mia assicurazione? Mi cureranno?
Per fortuna, ho imparato che se hai un'assicurazione e soprattutto una PPO (non vi spiego cosa significa e come funziona perchè è ancora un bel mistero anche per me) hai copertura praticamente ovunque e per quasi ogni problema di salute.
Ti puoi anche concedere una sorta di medico di famiglia, che non ti viene assegnato in base alla tua residenza (come il nostro famoso medico della mutua), ma te lo puoi scegliere tra i molteplici complessi della tua aerea, ma anche no, che potremmo definire poliambulatori e cambiarlo ogni volta che vuoi, se sei volubile appunto, oppure ogni volta che non sei soddisfatto, se sei incontentabile e visto che della tua salute si tratta, ma solo in questo caso, puoi considerare tale qualità un aspetto buono del tuo carattere.

Superata quindi la titubanza e il timore di non essere un paziente gradito, non perchè sei antipatico ovviamente, ma per mere questioni finanziarie, non puoi fare a meno di fare i confronti con i due diversi sistemi sanitari: quello italiano con cui sei cresciuto e quello americano di recente sperimentazione.
Sono e sarò sempre convinta che una società “civilizzata”, per considerarsi tale nella sua massima espressione, non possa prescindere dalla gestione pubblica dei fondamentali servizi dalle tre “esse”: sicurezza, scuola e sanità.
Questo però non significa che non ci siano buone modalità e procedure del privato che potrebbero essere attuate anche nel servizio pubblico per renderlo, forse, più efficiente; un esempio fra tutti: la valutazione del medico e della struttura sanitaria da parte del paziente.

Proprio qualche giorno fa infatti, ho ricevuto il questionario per la valutazione del medico che il mio Ing. ed io abbiamo scelto come “family care”; onestamente ne sono rimasta sorpresa, davvero non me l'aspettavo anche perchè mai prima d'ora mi era capitata la possibilità di esprimere un giudizio sul comportamento e la professionalità di un dottore.
Esistono anche siti di rating (ad esempio questo: healthgrades – guiding Americans to their best health) in cui puoi cercare e trovare il dottore o lo specialista che ti interessa con tanto di scheda riassuntiva delle sue qualifiche ed esperienze ma anche dei casi di negligenza professionale di cui si è reso colpevole con le eventuali relative sanzioni applicate (ad esempio la temporanea sospensione dall'esercizio della professione); si possono conoscere i tempi di attesa per ottenere un appuntamento e anche quanto mediamente si aspetta prima di essere ricevuti all'appuntamento stesso.

Me ne sono servita per scegliere uno specialista e mi è sembrato uno strumento utile soprattutto per me che sono straniera e senza la possibilità di approfittare del collaudato sistema italiano: il passaparola.
Ho fatto qualche ricerca in internet per capire se esistono siti italiani simili, ma non ho trovato nulla di paragonabile; le informazioni al massimo riguardano l'iscrizione all'ordine, le esperienze lavorative e solo di una ristretta cerchia di medici, magari iscritti a qualche associazione o struttura particolare, ma non c'è traccia di schede valutative (salvo smentite da parte vostra).

Immagino che nel sistema americano l'analisi del feed-back del paziente-cliente miri a spronare sia il funzionario sanitario “valutato” che si impegnerà al massimo per evitare sanzioni o al peggio il licenziamento, sia per la struttura medica che cercherà di fidelizzare la propria clientela, assecondandone nel possibile le esigenze.
Purtroppo il concetto di base è sempre lo stesso e non è propriamente nobile, trattandosi di salute e di esseri umani: aumentare il profitto (le assicurazioni pagano e i quattrini piovono, come è facile intuire!).
Perciò non scandalizziamoci se in queste realtà il termine “paziente” che già nel suo significato esprime la condizione propria del malato, la sofferenza, fa poi rima e non solo, con “cliente”.

Comunque posso testimoniare, pur con la mia modesta esperienza personale, che per come ti trattano non ti accorgi assolutamente di essere solo un banale elemento di un più complesso sistema di mercato.
Del resto al malato cosa interessa se non essere curato e considerato? (privilegio riservato negli States solo agli assicurati, purtroppo!). E come puoi non sentirti coccolato e al centro dell'attenzione quando il medico nella lettera di referto che ti spedisce a casa, ti saluta così?
La ringrazio per avermi permesso di partecipare alle sue cure. Si senta libera di chiamarmi per qualsiasi problema”... quasi quasi ti viene voglia di telefonare per offrire un caffè!


Enza: Quando il chirurgo è un fan di "Edward mani di forbice"

La Sicilia è una regione conosciuta più per le sue bellezze naturali ed artistiche che per un sistema sanitario pubblico efficiente.
Avrei molte cose da scrivere a proposito, ma riaprire pagine oscure della mia vita e soprattutto quelle di persone a me care, comporterebbe uno sforzo ed un impegno emotivo che al momento non sono in grado di sostenere.

E così preferisco raccontarvi quanto mi accadde nel marzo del 2000.
Al tempo ero una studentessa fuori corso all’università di Perugia ed una giovane donna nel periodo migliore della sua vita.

Un giorno mi trovo su uno di quei piccoli bus che raggiungono le vie interne di Perugia; alla guida c’è Stefano. Ad un certo punto sento un dolore lancinante alla parte destra del fianco e devo essere sbiancata parecchio perché alcune signore, età media 70 anni, si precipitano in mio soccorso.

Arrivo finalmente a casa ma il dolore non scema, anzi, così la mia coinquilina nonché amica carissima, Isa, dopo aver inutilmente provato a convincermi via cavo (è tornata a Viterbo dai suoi per il weekend!) ad andare in ospedale, chiama Salvatore, il nostro "fratello maggiore" del piano di sopra.
Così con Salvatore, che letteralmente mi obbliga a salire sulla sua punto verde, e con Simona, l’altra mia carissima amica, mi dirigo al policlinico di Perugia.
Poco ci manca che quei due sventurati sventolino il fazzoletto bianco dal finestrino.

Ebbene, arrivo intorno alle ore 12.00 del mattino al pronto soccorso; dopo un'attesa di almeno 2 ore mi portano in un’altra stanza per un’ecografia addominale. In quella stanza mi chiedono se ho la vescica piena e se ho bevuto almeno 2 litri d’acqua: eh già, io lo faccio ogni mattina, non si sa mai debba venirmi qualche malanno e debba fare un’ecografia!
Intanto piegata dal dolore, sento l’esigenza di andare in bagno ma ahimè non è possibile perché devo resistere almeno altre 2 ore!
Chiedo di darmi qualcosa ma mi viene detto che è tutto sotto controllo e che bisogna attendere l’esito dell’ecografia.

Intanto Salvatore e Simona al mio fianco mi consolano: ops! la memoria gioca brutti scherzi! Quella preoccupata e materna è Simona, Salvo non fa altro che farmi ridere, peggiorando la situazione!
Quando finalmente l’ecografista esce, cosa fa? Chiede a Simona di spogliarsi e di accomodarsi sul lettino... e Salvatore: "Dottore, ti piacerebbe ma è quest’altra che sta male!!!".

Fatta l’ecografia, emergenza assoluta! Bisogna operare immediatamente: appendicite acuta con rischio di peritonite. Devo essere trasferita in chirurgia senza perdere tempo. Ma assolutamente non posso camminare; ci penseranno loro al trasporto.
Così increduli, ci fanno salire tutti e tre sull’ambulanza e a sirene spiegate (mah! dentro il perimetro ospedaliero) ci conducono nell’altro stabile… distanza percorsa: 100 metri.
Non so più se sto male dal ridere o dal dolore. Mi sembra di vivere in un film comico ma tristemente vero.

Così intorno alle ore 17.00 sono su un altro lettino, quello del chirurgo che conferma la diagnosi di appendicite acuta e chiede ai miei compagni di sventura di andare a casa a prendere il necessario per la notte e per dopo l’operazione che avrò fatto da lì a qualche ora.
Alle 18.30, dopo aver chiamato casa e aver sentito mamma pronunciare le parole "Buona fortuna, ti voglio bene", prima di scoppiare in lacrime, sono già sul lettino pronta per l’anestesia.
L’ultimo ricordo è quello di Salvatore che mi dice: "Non ti preoccupare... ti tolgono un pezzo e poi siccome non puoi mangiare per un po', ti dimagrisci!"

Devo quindi ammettere che nel mio caso l’efficienza dell’ospedale è stata encomiabile, individuata la causa subito la cura!
Certo è un piccolo dettaglio il fatto che mamma, giunta in fretta dalla Sicilia con nonna a seguito, dopo aver costretto mio fratello a guidare tutta la notte, abbia chiesto ai medici se l’intervento fosse riuscito bene ed il medico abbia risposto: "l’intervento è perfettamente riuscito, si è trattato della rottura di una ciste ovarica... ma stia tranquilla, visto che ci trovavamo abbiamo tolto pure l’appendice!!!!".


Giulia: U.O.C. : Attendere prego …

Una fredda mattina di dicembre – A.D. 2009
Ore 7.30 – Ingresso U.O.C. (Unità Operativa Complessa … un nome più semplice no?) di Medicina di Laboratorio - Ospedale Civile di *** Provincia di Venezia.
Obiettivo della mattinata: riuscire a farsi fare le varie analisi prescritte dal medico di famiglia in tempo utile per raggiungere l’ufficio alle ore 9.00, possibilmente senza svenire visto che:
  1. soffro in maniera indicibile quando non posso fare colazione la mattina.
  2. non sopporto la vista del sangue!
Ore 7.35 – Prendo l’agognato bigliettino numerato e lo confronto con il display di fronte agli sportelli di accettazione: sono il numero 256 mentre i piccoli led rossi segnalano 163 … ci sono oltre 100 persone prima di me!
Ore 8.00: Attesa … (leggo un’interessante opuscolo sulla sordità)
Ore 8.30: Attesa … (ho fame!)
Ore 8.50: Attesa … informo la collega che non riuscirò mai a raggiungere l’ufficio per le 9.00 e non riesco a fornire un orario presunto di arrivo (sono in calo di zuccheri … se il primogenito della signora in avanzato stato di gravidanza seduta vicino a me allunga di nuovo la sua manina paffutella … me la mangio!)
Ore 9.15: E’ arrivato il mio turno; consegno la prescrizione medica per gli esami, tesserino sanitario e getto via l’odiato numerino.
Ore 9.20: Mi metto in fila davanti all’ambulatorio n. 4
Ore 9.50: Litri e litri del mio sangue vengono racchiusi mio malgrado in piccole fiale dal tappo colorato … sto per svenire …
Ore 10.15: Esco dall’Ospedale e mi fiondo al bar, ordino un cappuccino e addento la più grossa brioche a disposizione!

Una fredda mattina di dicembre – A.D. 2010
Ore 7.40: Ingresso Poliambulatorio privato *** provincia di Padova.
Obiettivo della mattinata: riuscire a farsi fare le varie analisi prescritte dal medico di famiglia in tempo utile per raggiungere l’ufficio alle ore 9.00, possibilmente senza incorrere negli inconvenienti sopra elencati.
Ore 7.55: Sbrigate le pratiche di accettazione mi siedo e, come l’operatrice in elegante divisa blu mi ha spiegato, attendo di essere chiamata.
Ore 8.05: Il mio cognome risuona nella sala d’attesa, seguo l’infermiera che gentilmente mi fa strada fino all’ambulatorio.
Ore 8.10: Litri e litri del mio sangue vengono racchiusi mio malgrado in piccole fiale dal tappo colorato (da questo punto di vista non cambia nulla … del resto sono qui per questo!)
Ore 8.25: Esco dalla struttura, potrò andare a ritirare i risultati delle analisi tra quattro giorni.
Ore 8.45: Sono al bar sotto l’ufficio e posso usufruire di ben 15 minuti di tranquillissima colazione!

Sebbene la storia sia condita con quella sana e rassegnata ironia tutta italiana, vi assicuro che tempistiche e procedure sono assolutamente reali.
La mia intenzione non è ovviamente quella di denigrare il Servizio Sanitario Nazionale, concordo infatti sul fatto che la salute è un bene primario e va tutelato senza tener conto di interessi commerciali ed economici, che caratterizzano tutto ciò che diventa “privato”.
Sarò ottusa o forse semplicemente un’illusa, ma ciò che continuo a non capire sono gli eccessi, le attese snervanti, anche per pratiche sanitarie del tutto banali, attese che sono sicura subirebbero una drastica riduzione se il Servizio Sanitario dedicasse maggiori risorse a quelle che vengono definite “prestazioni convenzionate”, ovvero quei servizi (visite, esami, etc …) che vengono pagati dallo Stato e forniti (di solito molto più efficacemente) da strutture private accreditate. Questo non significa avere una sanità privata, ma poter godere di una rete capillare di cliniche, che svolgano almeno le attività di routine, evitando così per esempio che le lungaggini di uno screening senologico si ripercuotano sulla salute di tante donne più o meno giovani.

Sono veramente orgogliosa del mio Paese quando al TG annunciano che un intervento innovativo è perfettamente riuscito in uno dei nostri grandi centri ospedalieri, e mi stupisco quando apprendo (da fonti sicure) che, a fronte del pagamento del classico ticket, un malato italiano può essere sottoposto ad un’operazione al cuore, che all’USSL può costare anche decine di migliaia di euro, senza che venga effettuata alcuna indagine sulle sue capacità economiche, ma semplicemente perché il medico ritiene che quella procedura sia necessaria.
Se solo questo coraggio, questa intraprendenza, questa convinzione nel perseguire il benessere della popolazione fosse sempre chiara e presente nella mente di chi gestisce, dirige e opera all’interno del Sistema Sanitario Nazionale forse, dico forse, l’Italia potrebbe far veramente invidia!