martedì 28 febbraio 2012

Dicono di noi... aggiornamento dagli States

Colonna sonora che rappresenta l'Italia tutta, da Bolzano a Lampedusa:
la tarantella!

A pensarci bene... quale musica o aria famosa, non regionalista, potrebbe identificare la nostra penisola? 
Non mi viene in mente niente... ma è sicuramente colpa della mia memoria, diciamo così, poco efficiente ;)

mercoledì 15 febbraio 2012

Dicono di noi ...

Giulia: Mangia, prega ... sparla

Un’austriaca, un’irlandese, una francese e una canadese: no, non è l’inizio della barzelletta più vecchia del mondo, in cui la presenza del solito furbone italiano risolve la situazione. E’ l’elenco delle persone che mi hanno ospitato o che ho ospitato nel corso degli anni, e che, a turno ed in maniera del tutto contraddittoria, mi hanno dimostrato quanto possano essere profondi i pregiudizi e radicate le fantasie che riguardano il Bel Paese.

Già alla tenera età di dieci anni, quando i miei genitori mi spedirono per la prima volta in Inghilterra con l’obiettivo di avviarmi allo studio della lingua inglese, avrei dovuto comprendere quanto poteva essere problematica l’integrazione di un gruppo di imprudenti ragazzi italiani nel tipico tessuto sociale locale. Il sabato mattina fui stupita nel vedere gli occhi pesti ed i lividi dei miei compagni più vecchi (16-17 anni), che la notte precedente erano usciti di nascosto dal college per farsi una pinta e si erano imbattuti in una compagnia di giovani della periferia londinese. Vuoi la nostra fama di popolo passionale e rissoso, vuoi l’eccesso di derisione calcistica (era l’estate del 1990: l’anno delle “notti magiche inseguendo un goal” in cui l’Inghilterra si piazzò al quarto posto proprio dopo l’Italia), fatto sta che i nostri tornarono alle loro stanze piuttosto malconci e fermamente decisi a non ripetere l’operazione.

Qualche anno più tardi il boccone fu più amaro da digerire. Mi trovavo a Belfast quando, all’atto di dichiarare la mia provenienza ad un coetaneo, lo sentii commentare con naturalezza: “Oh yes, Italy: pizza, spaghetti e mafia”. Difficile replicare. La delusione fu scottante. Era dunque questa la reputazione di cui il mio Paese godeva nel mondo: una nazione che produce ed esporta ottima gastronomia, ma si distingue per violenza e criminalità?

Poi è arrivata l’Unione Europea, l’abbattimento delle frontiere, la libera di circolazione delle merci e delle persone, gli Erasmus e gli scambi culturali, la fuga dei cervelli italiani all’estero (e così il mondo si è accorto che si, noi italiani abbiamo anche un cervello!), l’Euro e più di recente lo sbarco di George Clooney sulle rive del lago di Como e di Sting e Madonna nel Chianti.
I pregiudizi forse si sono evoluti ma non sono spariti.

Cécile, studentessa francese di Strasburgo, ha vissuto tre mesi sotto il mio stesso tetto, durante il suo periodo di stage. E’arrivata a maggio e partita a fine luglio; non avrebbe potuto scegliere un periodo più propizio per godersi le bellezze della campagna veneta. Mi ha stretto la mano asserendo che non parlava italiano, e se ne è tornata al suo villaggio immerso nelle foreste del Nord con una splendida cartolina dell’Italia fatta di: colazioni pantagrueliche, sessioni di yoga all’ombra del glicine, città d’arte accaldate, cene a base di spaghetti e caprese sotto il gazebo e tramonti tra le ville palladiane, mentre il suo “Je ne parle pas Italien” si era trasformato via via in una folkloristica ed allegra miscela di lingue mediterranee.

Il mio contributo al processo di riabilitazione nazionale mi sembrava soddisfacente, ma presto ho compreso che la sfida più grande non è dare lustro all’Italia ma ai suoi abitanti. C’è chi dice: “l’Italia sarebbe splendida se non ci fossero Italiani”. Come dare loro torto davanti a Pompei che si sgretola, alla nostra guida spericolata, al 70% dei giovani connazionali che santifica la “dea- raccomandazione”, al clientelismo che sfocia in corruzione, e ad una capitale che non sa far fronte a 5 centimetri di neve.

Incurante di tutto ciò, ho combattuto la mia ultima battaglia sul terreno impervio dell’”ideale del giovane italiano”, che secondo Michelle, canadese di Toronto ed i suoi amici, era incarnato da una sorta di rapper-cattolico stile proto-Soprano, che parla uno strano idioma anglo-calabrese.
Quando, nell’estate del 2000, la mia amica è arrivata in Italia, le ho fatto conoscere il mio fidanzato e mio cugino; entrambi si sono presentati a cena elegantissimi nelle loro camicie di taglio classico, hanno chiacchierato amabilmente sorseggiando dell’ottimo Pinot nero, il tutto con una grazia naturale, che non avevo avuto bisogno di istigare. Michelle sembrava tramortita, anche lei estasiata come Julia Roberts in “Mangia, Prega, Ama” (ma una decina d’anni prima) dalla dolce vita e dai modi affabili dei giovani con i quali aveva condiviso la serata.
Stereotipo del macho latino forse, ma meglio così che nella versione precedente.

Beppe Servegnini, che ultimamente è stato per me di grande ispirazione, scrive:
“L’Italia però non è un inferno: troppo gentile. Non è neppure un paradiso: troppo indisciplinata. Diciamo che è un purgatorio insolito, pieno di orgogliose anime in pena, ognuna delle quali pensa d’avere un rapporto privilegiato col padrone di casa. Un posto capace di mandarci in bestia e in estasi nel raggio di cento metri e nel giro di dieci minuti (…). Un luogo dal quale diciamo di voler scappare, se ci viviamo; ma dove tutti vogliamo tornare, quando siamo scappati.”


Cristina: Italy made in USA

Vivendo all'estero pensavo di avere mille esempi per supportare la tesi dei pregiudizi nei ns confronti, come italiani intendo, ma in realtà non è proprio così.
E dato che non riesco proprio a nascondere di essere una “foreigner” anzi per la burocrazia americana una “alien” e qui la fantasia può sbizzarrirsi sulle mille sfumature e valenze del significato di tale parola, la scenetta con persone di nuova conoscenza è più o meno questa ogni volta:
  • Ciao, come va? Posso aiutarti?
  • Buongiorno, salve, spero di sì, avrei bisogno di...
  • Ah, da dove vieni?
  • Italy.
Ed ecco le osservazioni che ho collezionato in questi anni di permanenza USA:

  • Italy!! (sempre grande enfasi)... great food!
Vi sembra un pregiudizio? A me una sacrosanta verità e non per puro campanilismo ma provate voi a sorbirvi per anni di fila menu a base di pollo, hamburgher o salmone! E non che non abbia provato altre cucine, anzi sono molto curiosa di nuovi sapori, ma in nessuna di esse ho trovato la ricchezza per varietà e gusto, della cucina italiana.

  • Oh Italy!! (enfasi, sempre)... I've been there last year. What a wonderful country, great food (sempre lì vanno a parare) e what amazing towns! Florence, Venice, Rome, Verona, Naples, Sicily (la Sicilia è omnicomprensiva) and Milan.
Anche qui dov'è il pregiudizio? Può qualcuno negare la bellezza di tali città o isole che siano? Soprattutto se viste con l'occhio del turista? Certo non sanno che molte nostre periferie e le nostre aree industriali trasformerebbero la loro gita felice in un tour dell'orrido, ma ciò non smentisce né sminuisce la veridicità delle loro convinzioni.
  • Oh Italy! (non sono io noiosa, sono loro che rispondono sempre così!) ... goodlooking people, always celebrating life, fashion and style...
Ecco, qui un tantino di pregiudizio lo intravedo.
  • Oh Italy! Italian is very similar to Spanish
Sob! Non c'entra nulla con i pregiudizi, ma questa osservazione ogni volta mi fa rimanere un po' male; ma come non sentite la musicalità dell'Italiano rispetto allo Spagnolo che, va bene, una certa similarità la richiama, ma insomma, proprio non la sentite la nostra melodia?
Invece rassegnata questa è sempre più o meno la mia risposta: “Yes, the sound is more or less the same”.
Percepiranno la mia delusione dal tono della mia voce?

Il pregiudizio e lo stereotipo è invece ancora forte in tv e nel settore della ristorazione, dove l'immagine dell'Italia si è cristallizzata agli anni '50 - '60 del secolo scorso, con tante tovaglie a quadretti bianchi e rossi e foto degli attori famosi in quel periodo, Alberto Sordi primo fra tutti. Non mancano di certo realtà più aggiornate ma sono ancora troppo poche per imporsi e superare la radicata concezione di un Italia in perenne fase da dopoguerra.

Vidi il film con Julia Roberts “eat, pray and love” appena uscì al cinema e dopo, in un paio di occasioni in tv.
Il mio ing. ed io alla visione delle scene ambientate a Roma e a Napoli restammo scioccati e increduli per come il regista rappresentava il comportamento dell'italiano medio: ci stava credendo davvero o voleva solo enfatizzare giungendo sino al ridicolo solo per strappare qualche risata al pubblico americano in sala? O peggio, seguiva alla lettera il libro da cui traeva ispirazione? Non l'ho letto il libro, per cui resto nel dubbio.
Sta di fatto che questo fu ciò che vedemmo:
- un gruppo di ragazzi romani inseguire giovani donne slogandosi il braccio nel tentativo di toccare loro il sedere!!
- ridicole e volgari gesticolazioni, nel trattare con i clienti, da parte dei fruttivendoli al mercato delle piazze;
- una bimba di 4 o 5 anni, fare un bel “dito medio” da un balcone di un quartiere povero di Napoli;
- affittare un appartamento in un palazzo romano disastrato e senza riscaldamento la cui proprietaria ottuagenaria (penso) non manca di sottolineare il nostro pregiudizio italiano verso la facilità delle donne americane;
- usare una Citroen 2 cavalli per il centro di Roma... ma ne esistono ancora?

Non commento nessuna di queste scene, sono tutte piuttosto eloquenti, dico solo che nella versione televisiva alcune, le più volgari e ridicole, sono sparite... sarà solo un'esigenza di formato? Chissà! E della versione italiana che mi dite?


E se non bastasse... ci studiano pure!

Questo è un seminario tenutosi il mese scorso all'UCLA, la prestigiosa università californiana: quanto avrei voluto esserci!