venerdì 5 ottobre 2012

Intervallo ...



Una delle tre autrici di questo blog sta traslocando (per l'ennesima volta).
Un'altra non dorme abbastanza di notte (ma tutto sommato non le dispiace affatto).
La terza infine ha troppe cose per la testa (e non le bastano giornate da 24 ore e soprattutto weekend di due giorni!)
Considerato tutto ciò, ci prendiamo una piccola pausa da microcosminvaligia, 
ma ... tornate a trovarci presto :-)

giovedì 16 agosto 2012

Good bye California!

L'avventura americana è finita!

E questo è il mio ultimo saluto e augurio californiano!


To be continued...



lunedì 16 luglio 2012

Fast quiz...

per gli amanti del fast food e della pappa pronta... letteralmente :)      
Cosa c'è nella foto?


Un paio di indizi:
luogo di ritrovamento, un supermercato di Redondo Beach;
destinatari, fornello-fobici o fornello-inabili.






soluzione

venerdì 6 luglio 2012

Corri ... ma piano!



Qualche settimana fa elogiavo la cartellonistica statunitense per l'originalità, la concretezza e per l'ironica creatività, ma ... vogliamo mettere questo:
"CORRERE PIANO. Grazie"
Questo semplice avvertimento, scovato all'imbocco di una stradina sterrata nella più recondita campagna veneta, rappresenta, a mio parere, la quintessenza dell'italianità:
1. Artigianalità: sullo sfondo di una segnaletica più o meno regolamentare sono state applicate le lettere nere, che risultano in effetti un po' sbilenche ma, si sa, sono i dettagli che fanno il pezzo "unico".
2. Comunicazione controversa: "correre piano" ... cosa vuol dire? O corro o avanzo lentamente, o decido di giocarmi l'auto in un rally sfrenato sulla ghiaia o procedo con attenzione. Queste espressioni mi fanno immediatamente pensare al tipico eloquio parlamentare, del tipo: "siamo contrari alla riforma ma sicuramente voteremo a favore del provvedimento" ... vuoi vedere che quel cartello è un'idea del sindaco del paese?
3. Cortesia: un "grazie" in Italia non si nega a nessuno, perché a volte aiuta a far digerire l'imposizione o il divieto. Manca invece il punto esclamativo, che a quanto pare imperversa nei cartelli made in U.S.A., probabilmente perché troppo autoritario, potrebbe indisporre l'incauto guidatore.
4. Tocco bucolico: non si può rinunciare alla grazia e alla bellezza ... mai! Infatti dietro il cartello è stato piantato un roseto, che nel momento in cui è stata scattata la foto manco a dirlo era in fiore!
L'Italia è incredibilmente bella anche per questo ... altrimenti sai che noia ;-) 

giovedì 21 giugno 2012

Segnaletica ironica: aggiornamento

Un'ironia che viene da tempi lontani

Questa foto l'ho trovata nell'archivio storico della National Geographic e dovrebbe essere degli anni 20 del secolo scorso. Ritrare Glacier point al Yosemite National Park che purtroppo non ho visto di persona :( 
Il cartello dice letteralmente:
It is 3.000 feet to the bottom and no undertaker to meet you. Take no chanches. There is a difference between bravery and just plain ordinary foolishness.

(Ci sono 3.000 piedi fino al fondo e nessun becchino ad aspettarti. Non correre il rischio. C'è differenza tra coraggio e solo semplice ordinaria stupidità).

Da ciò che ho letto in internet il cartello non esiste più... peccato!


mercoledì 13 giugno 2012

Segnaletica ironica

Obblighi, divieti e suggerimenti proposti in veste ironica sono più efficaci?
Chi lo sa!
A me sono sembrati una nota di colore nell'austero grigiore tipico delle imposizioni burocratiche e mi han fatto comunque sorridere :)

Ecco alcuni esempi trovati qua e là.

Che sia pericoloso attraversare la strada a Salt Lake City?

Yellowstone
Letteralmente suona così: lavati le zampe, i germi sono a caccia e ovviamente fuori dal contesto non è simpatica e forse è offensiva; ma all'interno del parco ci sta tutta e in inglese c'è pure la rima. E se la traducessimo così? lava le tue zampacce, i germi son minacce...  :-s    no, eh?
Si accettano suggerimenti.


Yellowstone
Questa non ha bisogno di commenti, povere piantine!
C'era un altro cartello che non sono riuscita a fotografare ma che graficamente era simile, con uno scarpone nell'atto di calpestare il suolo, che diceva: "leave the plants a chance!"


Yellowstone
Questo cartello di divieto non ha molta ironia, anzi proprio per niente, è un cartello standard...
per gli americani sicuramente, per noi forse un po' meno :(

Per ora è tutto ma vi terrò aggiornati.

venerdì 1 giugno 2012

Spiacente, ma non c'è storia ...

L'idea della "Copa di Vino" mi ha lasciato molto combattuta per qualche giorno; da un lato la mia indole "markettara" non poteva fare a meno di riconoscere e lodare l'originale intuizione, il packaging accattivante, il marchio che strizza l'occhio agli italiani come agli ispanici, la determinazione nel tentare ciò che nessuno aveva mai osato immettere nel mercato, ovvero il "vino da passeggio", dall'altra parte i miei sani e conservatori cromosomi veneti gridavano vendetta, mentre una vocina nella mia mente ripeteva: "Se nessuno ha mai tentato la via del calice di vino take away, un motivo ci sarà?!?". 

La diatriba mentale si è bonariamente conclusa qualche giorno fa, quando in una tiepida e soleggiata domenica di maggio abbiamo partecipato a "Cantine Aperte 2012".
In tarda mattinata siamo arrivati in Valpolicella, incantevole e tranquilla località in provincia di Verona, nelle vicinanze del lago di Garda, famosa per la produzione di vini d'eccellenza, come l'Amarone, il Recioto e il Ripasso di Valpolicella, appunto. 



Dopo sette ore di visita a cantine storiche ed un eccezionale pranzo, innaffiato con dell'ottimo Valpolicella, indovinate un po' chi ha vinto tra le due anime contendenti: la "markettara" o la conservatrice?


« Son cari a Bacco questi colli e cara
questa fonte alle Najadi è non meno.
Se troppo di quel nume hai caldo il seno,
tu con quest'acque a rinfrescarlo impara »
(Ippolito Pindemonte) 

mercoledì 23 maggio 2012

Un bicchiere di-vino

Novità in vendita al supermercato: la “copa di vino

A me ha fatto sorridere e mi è sembrata una cosa carina tanto da segnalarla in un post ed infatti eccolo qui.

Non avevo mai visto nulla di simile né qui, finora, né in Italia per cui ho dato per scontato che fosse un'ideona americana; ma sì, dagli amanti del fast food perchè non aspettarsi anche il fast drink?

Però incuriosita ho fatto qualche ricerca e ho scoperto 2 cose: una che sono davvero ignorante e due che il vino in bicchiere non è un'idea americana. La cosa nasce in Europa mentre negli States si sono semplicemente limitati a “rielaborare” il concetto... giudicate voi il risultato.

Io dico la mia; vini per lo più italiani e francesi, nome spagnolo e contenitore che richiama il boccale di birra o della coca-cola! 'Sti diavoli di Americani!
Due sono le letture: o la strategia di marketing è raffinatissima e subliminalmente anche gli assolutisti della birra e gli amanti della mitica coke (spagnoli soprattutto!?) vengono indotti a comprare il vino nel bicchiere di plastica oppure il prodotto finale è tale in seguito a parecchi studi e molti tentativi e si sa, è peccato buttar via... ;)

E poi neppure il gioco di parole gli è riuscito! speriamo che almeno il vino sia decente.





lunedì 21 maggio 2012

Le nuvole e l'eclissi di sole

Immaginare la California come la patria dell'estate perenne è uno dei miti che posso sfatare, almeno per quanto riguarda la fascia prettamente costiera. Non si pensi che sia una lamentela perchè in effetti io adoro il clima di quest'area, un'eterna primavera con timidi approcci estivi e un po' più disinvolte espressioni autunnali, di cui in effetti farei a meno, ma tant'è...

Piove raramente, è vero, ma abbonda la nebbia (il famoso “mist” che sale all'improvviso dall'oceano) e tante sono sempre le nuvole a volte sporadiche e chiare, a volte così dense da coprire letteralmente il cielo e a volte nere e minacciose; quasi immancabilmente però arriva un vento fortissimo (anche di questo farei volentieri a meno) che in poco tempo spazza via tutto e il cielo si ripulisce tornando limpido e terso pronto per il prossimo round.

Inutile dire che le nuvole portano sempre una certa tristezza, smorzano la luce e i colori della giornata, raffreddando istantaneamente la temperatura costringendoti a mettere il sempre-presente-ad-ogni-uscita maglioncino e ti tolgono anche un po' il sorriso; insomma fuor di poesia, le nuvole rompono.

Però ieri, bisogna riconoscerlo, hanno avuto un ruolo importante; arrivate al momento giusto, perfette in densità ma in costante movimento, sono state un ottimo filtro naturale.
Se non fosse stato per loro non avremmo mai potuto ammirare lo spettacolo dell'eclissi di sole a occhio nudo!

 


domenica 13 maggio 2012

L'acqua al ristorante

L'acqua nei ristoranti americani non si paga. E' normalissima acqua di rubinetto on the rocks... con tanto ghiaccio, insomma, per raffreddare ovviamente ma anche per coprire o mitigare il disgustoso sapore di cloro.

I locali più chic ti fanno notare che l'acqua è filtrata, come dire di qualità superiore (ma sempre di rubinetto è!) ed è spesso servita con la classica fettina di limone o lime; quelli davvero trendy però la servono in bottiglia e con il... cetriolo!

Bleah!

L'odore è sgradevole (come quello di una cimice involontariamente calpestata?) anche se il gusto è accettabile, devo ammetterlo.

Che sia un tentativo subdolo di invitare la clientela a ordinare la classica San Pellegrino a 6 dollari a bottiglia da mezzo litro?
Si sta diffondendo anche in Italia questa strana moda dell'acqua aromatizzata al cetriolo?


venerdì 20 aprile 2012

Mi chiamo Francesco

Oggi inizia la mia avventura.
Oggi io sono.

Ma incredibilmente ho già un passato
e sono stato


un desiderio immenso
un abbraccio intenso
una meravigliosa sorpresa
una dolce attesa
                                          

Oggi per la prima volta
la mia mamma ho abbracciato
e del mio papà
ho visto lo sguardo illuminato;

un amore smisurato
ho subito provato
nella mia lingua l'ho presto dichiarato,
un forte e possente vagito ho intonato.

Insomma, se ancora non avete capito
oggi sono nato!


Congratulazioni e un abbraccio forte a tutti e tre.
Giulia e Cri le neo-blog-zie

martedì 28 febbraio 2012

Dicono di noi... aggiornamento dagli States

Colonna sonora che rappresenta l'Italia tutta, da Bolzano a Lampedusa:
la tarantella!

A pensarci bene... quale musica o aria famosa, non regionalista, potrebbe identificare la nostra penisola? 
Non mi viene in mente niente... ma è sicuramente colpa della mia memoria, diciamo così, poco efficiente ;)

mercoledì 15 febbraio 2012

Dicono di noi ...

Giulia: Mangia, prega ... sparla

Un’austriaca, un’irlandese, una francese e una canadese: no, non è l’inizio della barzelletta più vecchia del mondo, in cui la presenza del solito furbone italiano risolve la situazione. E’ l’elenco delle persone che mi hanno ospitato o che ho ospitato nel corso degli anni, e che, a turno ed in maniera del tutto contraddittoria, mi hanno dimostrato quanto possano essere profondi i pregiudizi e radicate le fantasie che riguardano il Bel Paese.

Già alla tenera età di dieci anni, quando i miei genitori mi spedirono per la prima volta in Inghilterra con l’obiettivo di avviarmi allo studio della lingua inglese, avrei dovuto comprendere quanto poteva essere problematica l’integrazione di un gruppo di imprudenti ragazzi italiani nel tipico tessuto sociale locale. Il sabato mattina fui stupita nel vedere gli occhi pesti ed i lividi dei miei compagni più vecchi (16-17 anni), che la notte precedente erano usciti di nascosto dal college per farsi una pinta e si erano imbattuti in una compagnia di giovani della periferia londinese. Vuoi la nostra fama di popolo passionale e rissoso, vuoi l’eccesso di derisione calcistica (era l’estate del 1990: l’anno delle “notti magiche inseguendo un goal” in cui l’Inghilterra si piazzò al quarto posto proprio dopo l’Italia), fatto sta che i nostri tornarono alle loro stanze piuttosto malconci e fermamente decisi a non ripetere l’operazione.

Qualche anno più tardi il boccone fu più amaro da digerire. Mi trovavo a Belfast quando, all’atto di dichiarare la mia provenienza ad un coetaneo, lo sentii commentare con naturalezza: “Oh yes, Italy: pizza, spaghetti e mafia”. Difficile replicare. La delusione fu scottante. Era dunque questa la reputazione di cui il mio Paese godeva nel mondo: una nazione che produce ed esporta ottima gastronomia, ma si distingue per violenza e criminalità?

Poi è arrivata l’Unione Europea, l’abbattimento delle frontiere, la libera di circolazione delle merci e delle persone, gli Erasmus e gli scambi culturali, la fuga dei cervelli italiani all’estero (e così il mondo si è accorto che si, noi italiani abbiamo anche un cervello!), l’Euro e più di recente lo sbarco di George Clooney sulle rive del lago di Como e di Sting e Madonna nel Chianti.
I pregiudizi forse si sono evoluti ma non sono spariti.

Cécile, studentessa francese di Strasburgo, ha vissuto tre mesi sotto il mio stesso tetto, durante il suo periodo di stage. E’arrivata a maggio e partita a fine luglio; non avrebbe potuto scegliere un periodo più propizio per godersi le bellezze della campagna veneta. Mi ha stretto la mano asserendo che non parlava italiano, e se ne è tornata al suo villaggio immerso nelle foreste del Nord con una splendida cartolina dell’Italia fatta di: colazioni pantagrueliche, sessioni di yoga all’ombra del glicine, città d’arte accaldate, cene a base di spaghetti e caprese sotto il gazebo e tramonti tra le ville palladiane, mentre il suo “Je ne parle pas Italien” si era trasformato via via in una folkloristica ed allegra miscela di lingue mediterranee.

Il mio contributo al processo di riabilitazione nazionale mi sembrava soddisfacente, ma presto ho compreso che la sfida più grande non è dare lustro all’Italia ma ai suoi abitanti. C’è chi dice: “l’Italia sarebbe splendida se non ci fossero Italiani”. Come dare loro torto davanti a Pompei che si sgretola, alla nostra guida spericolata, al 70% dei giovani connazionali che santifica la “dea- raccomandazione”, al clientelismo che sfocia in corruzione, e ad una capitale che non sa far fronte a 5 centimetri di neve.

Incurante di tutto ciò, ho combattuto la mia ultima battaglia sul terreno impervio dell’”ideale del giovane italiano”, che secondo Michelle, canadese di Toronto ed i suoi amici, era incarnato da una sorta di rapper-cattolico stile proto-Soprano, che parla uno strano idioma anglo-calabrese.
Quando, nell’estate del 2000, la mia amica è arrivata in Italia, le ho fatto conoscere il mio fidanzato e mio cugino; entrambi si sono presentati a cena elegantissimi nelle loro camicie di taglio classico, hanno chiacchierato amabilmente sorseggiando dell’ottimo Pinot nero, il tutto con una grazia naturale, che non avevo avuto bisogno di istigare. Michelle sembrava tramortita, anche lei estasiata come Julia Roberts in “Mangia, Prega, Ama” (ma una decina d’anni prima) dalla dolce vita e dai modi affabili dei giovani con i quali aveva condiviso la serata.
Stereotipo del macho latino forse, ma meglio così che nella versione precedente.

Beppe Servegnini, che ultimamente è stato per me di grande ispirazione, scrive:
“L’Italia però non è un inferno: troppo gentile. Non è neppure un paradiso: troppo indisciplinata. Diciamo che è un purgatorio insolito, pieno di orgogliose anime in pena, ognuna delle quali pensa d’avere un rapporto privilegiato col padrone di casa. Un posto capace di mandarci in bestia e in estasi nel raggio di cento metri e nel giro di dieci minuti (…). Un luogo dal quale diciamo di voler scappare, se ci viviamo; ma dove tutti vogliamo tornare, quando siamo scappati.”


Cristina: Italy made in USA

Vivendo all'estero pensavo di avere mille esempi per supportare la tesi dei pregiudizi nei ns confronti, come italiani intendo, ma in realtà non è proprio così.
E dato che non riesco proprio a nascondere di essere una “foreigner” anzi per la burocrazia americana una “alien” e qui la fantasia può sbizzarrirsi sulle mille sfumature e valenze del significato di tale parola, la scenetta con persone di nuova conoscenza è più o meno questa ogni volta:
  • Ciao, come va? Posso aiutarti?
  • Buongiorno, salve, spero di sì, avrei bisogno di...
  • Ah, da dove vieni?
  • Italy.
Ed ecco le osservazioni che ho collezionato in questi anni di permanenza USA:

  • Italy!! (sempre grande enfasi)... great food!
Vi sembra un pregiudizio? A me una sacrosanta verità e non per puro campanilismo ma provate voi a sorbirvi per anni di fila menu a base di pollo, hamburgher o salmone! E non che non abbia provato altre cucine, anzi sono molto curiosa di nuovi sapori, ma in nessuna di esse ho trovato la ricchezza per varietà e gusto, della cucina italiana.

  • Oh Italy!! (enfasi, sempre)... I've been there last year. What a wonderful country, great food (sempre lì vanno a parare) e what amazing towns! Florence, Venice, Rome, Verona, Naples, Sicily (la Sicilia è omnicomprensiva) and Milan.
Anche qui dov'è il pregiudizio? Può qualcuno negare la bellezza di tali città o isole che siano? Soprattutto se viste con l'occhio del turista? Certo non sanno che molte nostre periferie e le nostre aree industriali trasformerebbero la loro gita felice in un tour dell'orrido, ma ciò non smentisce né sminuisce la veridicità delle loro convinzioni.
  • Oh Italy! (non sono io noiosa, sono loro che rispondono sempre così!) ... goodlooking people, always celebrating life, fashion and style...
Ecco, qui un tantino di pregiudizio lo intravedo.
  • Oh Italy! Italian is very similar to Spanish
Sob! Non c'entra nulla con i pregiudizi, ma questa osservazione ogni volta mi fa rimanere un po' male; ma come non sentite la musicalità dell'Italiano rispetto allo Spagnolo che, va bene, una certa similarità la richiama, ma insomma, proprio non la sentite la nostra melodia?
Invece rassegnata questa è sempre più o meno la mia risposta: “Yes, the sound is more or less the same”.
Percepiranno la mia delusione dal tono della mia voce?

Il pregiudizio e lo stereotipo è invece ancora forte in tv e nel settore della ristorazione, dove l'immagine dell'Italia si è cristallizzata agli anni '50 - '60 del secolo scorso, con tante tovaglie a quadretti bianchi e rossi e foto degli attori famosi in quel periodo, Alberto Sordi primo fra tutti. Non mancano di certo realtà più aggiornate ma sono ancora troppo poche per imporsi e superare la radicata concezione di un Italia in perenne fase da dopoguerra.

Vidi il film con Julia Roberts “eat, pray and love” appena uscì al cinema e dopo, in un paio di occasioni in tv.
Il mio ing. ed io alla visione delle scene ambientate a Roma e a Napoli restammo scioccati e increduli per come il regista rappresentava il comportamento dell'italiano medio: ci stava credendo davvero o voleva solo enfatizzare giungendo sino al ridicolo solo per strappare qualche risata al pubblico americano in sala? O peggio, seguiva alla lettera il libro da cui traeva ispirazione? Non l'ho letto il libro, per cui resto nel dubbio.
Sta di fatto che questo fu ciò che vedemmo:
- un gruppo di ragazzi romani inseguire giovani donne slogandosi il braccio nel tentativo di toccare loro il sedere!!
- ridicole e volgari gesticolazioni, nel trattare con i clienti, da parte dei fruttivendoli al mercato delle piazze;
- una bimba di 4 o 5 anni, fare un bel “dito medio” da un balcone di un quartiere povero di Napoli;
- affittare un appartamento in un palazzo romano disastrato e senza riscaldamento la cui proprietaria ottuagenaria (penso) non manca di sottolineare il nostro pregiudizio italiano verso la facilità delle donne americane;
- usare una Citroen 2 cavalli per il centro di Roma... ma ne esistono ancora?

Non commento nessuna di queste scene, sono tutte piuttosto eloquenti, dico solo che nella versione televisiva alcune, le più volgari e ridicole, sono sparite... sarà solo un'esigenza di formato? Chissà! E della versione italiana che mi dite?


E se non bastasse... ci studiano pure!

Questo è un seminario tenutosi il mese scorso all'UCLA, la prestigiosa università californiana: quanto avrei voluto esserci!