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mercoledì 15 giugno 2011

The Liberty Bell

Il mio Ing. ed io abbiamo una grande opportunità: poter visitare le città più importanti o almeno le più note degli Stati Uniti a costi inferiori rispetto ad una partenza dall'Italia e riducendo drasticamente le ore di volo.
Il primo aspetto della vicenda non mi lascia indifferente, anzi rappresenta assolutamente un buon incentivo, ma il secondo è davvero il mio bonus viaggio, il reale premio-vacanza!
Quindi perchè non approfittare? Detto, fatto... più o meno, dai, impegni di lavoro, ferie e salute permettendo: e così si parte alla scoperta della costa est.

Facciamo più tappe ammirando e imparando molto della storia e delle abitudini americane non mancando di fare i confronti con la California, rilevando qualche affinità ma soprattutto differenze che ce la rendono sempre più gradita e il clima fra queste non occupa proprio l'ultimo posto.
Molte cose ci affascinano nelle città che visitiamo: il brulichio frenetico di alcune vie principali, l'ordine e la vivibilità di alcuni centri, la vegetazione ricca e rigogliosa, l'umidità e la densità della nebbia che nulla hanno da invidiare a quelle della Val Padana, la verticalità estrema dell'architettura, la riuscita combinazione di antico (ma sì, concediamoglielo!) e moderno e infine la generale omologazione, “che sa tanto di America”, a partire dal cibo, passando dalle varie catene di negozi di tutti i generi per finire con l'abbigliamento.

Ma una cosa in particolare mi colpisce e di questa vorrei raccontare.
Quando si passa per Filadelfia anche nel tour di una sola giornata è inevitabile, quasi fosse un dovere morale, visitare il museo dove è custodita la “Liberty Bell” (la campana della libertà) così definita perchè al suono dei suoi rintocchi i cittadini nel 1776 furono invitati alla pubblica lettura della Dichiarazione di Indipendenza che sancì la nascita degli Stati Uniti d'America come nazione nuova e libera dal dominio inglese.
Da questo episodio altri ne seguirono, attribuendo di volta in volta alla campana della libertà un valore simbolico e specifico del particolare momento storico vissuto (ad ex: la libertà e l'uguaglianza reclamata dagli Afro-americani negli anni della segregazione razziale e ancor prima la lotta per l'abolizione della schiavitù).
Non è certo la sua artistica fattura ad attrarre la mia attenzione, ad essere onesti non è neppure bella, è... una campana!
Ciò che invece è in bella evidenza è una crepa larga almeno 2 cm che corre lungo tutto il suo corpo e che mi fa immaginare un fervente sostenitore della libertà dal rintocco troppo energico.
Però quella crepa così vistosa mi dà proprio fastidio: “perchè non l'hanno aggiustata?” “Rappresenta forse l'istante rubato al fluire del tempo in cui qualcosa di clamoroso è accaduto?"
Cerco la risposta tra le didascalie offerte dal museo (confesso che non so nulla in merito a questa campana, mi scuso per l'ignoranza) e la trovo; è a dir poco sorprendente: la campana possiede questo solco fin dalla sua prima fusione e nessuno è mai stato in grado di chiuderlo ed eliminarlo.

Ho una strana sensazione mentre leggo la storia della campana e di tutti gli avvenimenti ad essa legati: quella crepa... continua a darmi fastidio.
Se ne esalta il significato simbolico di libertà, di eroismo e di riscatto dell'essere umano dalle prevaricazioni, ma percepisco di fondo una nota stonata (sarà la crepa?).
Perchè sono riluttante ad entusiasmarmi alla lettura dei principi di uguaglianza e libertà sanciti nella dichiarazione di indipendenza? Perchè l'emendamento più importante della costituzione americana, il primo, che sembra così strettamente correlato alla vita reale e simbolica della campana, mi lascia perplessa?
Non riesco in effetti ad associare con facilità tali affermazioni illuminate ed universali ad un qualche evento storico successivo alla loro proclamazione. La colpa è sicuramente della mia ignoranza o della mia coscienza polemica, che dispettosa mi suggerisce: “ e i nativi americani? E gli schiavi? E la segregazione razziale legalizzata fino quasi alla fine del 20° secolo? E il latente ma perseverante razzismo? E le guerre? E la pena di morte? e... no basta, mi fermo qui, mi sembra abbastanza!

Sono consapevole che la mia spiegazione della crepa sulla campana è del tutto personale e non suffragata da alcun elemento reale e razionale, è solo una giustificazione sentimentale, ma non è, almeno per me, meno emblematica del significato della campana stessa.
Quella crepa che nessuno riesce a rinsaldare mi appare come un monito: la libertà e l'uguaglianza fra gli uomini sono la meta di un percorso in salita che forse non si potrà mai raggiungere ma che solo ogni tanto si scorge, a brevi tratti, durante il viaggio.

martedì 22 febbraio 2011

L'altra parte del mondo: non è poi così lontano!

In questi giorni, per motivi di salute seppur non gravi, sono purtroppo costretta a rimanere a riposo più di quanto la mia innata pigrizia mi consigli di fare. Lo so, c'è di peggio e inoltre posso approfittare di questa momentanea semi-immobilità per leggere e tenermi aggiornata sui fatti del mondo e dell'Italia soprattutto... sob!

In questi giorni ciò che vedo e vivo della California è quel pezzettino di oceano e di strada che riesco a scorgere dalle finestre di casa: niente di nuovo da rilevare quindi.
Qualcosa però da raccontare da qui, dall'altra parte del mondo, ce l'ho lo stesso perchè in questi casi (se avrete la pazienza di continuare a leggere capirete) non bastano 10.000 km per trasformare la preoccupazione in indifferenza.

Il 17 febbraio scoppia la rivolta del popolo libico contro il proprio dittatore e oppressore; qualche giorno dopo i manifestanti, i civili, vengono bombardati dai caccia: è guerra civile.
Sono profondamente scioccata alla notizia dei bombardamenti sulla folla, una violenza inaudita, inaccettabile che ti stringe lo stomaco e non accetta giustificazioni di sorta.

Immediatamente il mio pensiero corre ad una persona che lavora a Tripoli, un'amica che non frequento più da molto tempo ma di cui sono periodicamente informata da un'amica comune.
Mi precipito a scrivere una mail (per motivi di fuso non telefono) a lei, all'amica comune, per chiederle se ha sue notizie.
Mi risponde a distanza di ore (sempre il fuso questo intruso); è preoccupatissima, riesce ad avere qualche informazione solo dalla mamma che le conferma che la figlia non può comunicare né con internet né con il cellulare ma solo attraverso le linee del telefono fisso.
Mi spiega che si trova con 2 colleghi italiani e insieme hanno deciso di raggiungere l'aeroporto cittadino nella speranza di riuscire a prendere un volo per l'Italia, altrimenti l'alternativa, poco felice e poco sicura, aggiungo io, si chiama Tunisia.
Non posso non chiedermi come potranno fuggire, forse con la macchina nonostante il terrore consapevole dei cecchini e dei mercenari che sparano sulla folla e all'impazzata.

Provo un'ansia indescrivibile e la immagino a vivere e ad affrontare una situazione di guerra e di disordine che per noi Europei delle generazioni post-belliche è quasi inconcepibile.
Le scene di guerra le vediamo nei film e ormai ci siamo praticamente assuefatti se non siamo addirittura incantati dagli effetti speciali, ma quando le esplosioni le senti con le tue orecchie e vedi con i tuoi occhi l'orrore penso che si apra una ferita nell'anima profonda, difficile da rimarginare, anche se per te finisce tutto bene... ma poi non sei più lo stesso!

Per un paio di giorni nessuno ha più notizie, la nostra amica comune è preoccupatissima e non sa come fare per avere almeno la rassicurazione che tutti e tre i colleghi stiano bene. Poi ieri sera, lei, dalla Libia, fa sapere sempre tramite la mamma, che si trova in aeroporto a Tripoli, ha in mano un biglietto per il giorno seguente, ma spera che il volo parta prima.
Questa mattina, verso le 10.00 californiane e cioè le 7.00 di sera italiane, ricevo un sms dalla nostra amica comune; è laconico ma racchiude in sé la forza dirompente della buona notizia.
Riesco quasi a vedere i muscoli del suo viso che si rilassano, il ghigno serrato per la tensione che lascia il posto al sorriso: “E' a Roma”.
E poi scendono le lacrime.

Un pensiero a chi è morto e sta morendo nella lotta per la propria libertà e dignità di essere umano.