In questi giorni, per motivi di salute seppur non gravi, sono purtroppo costretta a rimanere a riposo più di quanto la mia innata pigrizia mi consigli di fare. Lo so, c'è di peggio e inoltre posso approfittare di questa momentanea semi-immobilità per leggere e tenermi aggiornata sui fatti del mondo e dell'Italia soprattutto... sob!
In questi giorni ciò che vedo e vivo della California è quel pezzettino di oceano e di strada che riesco a scorgere dalle finestre di casa: niente di nuovo da rilevare quindi.
Qualcosa però da raccontare da qui, dall'altra parte del mondo, ce l'ho lo stesso perchè in questi casi (se avrete la pazienza di continuare a leggere capirete) non bastano 10.000 km per trasformare la preoccupazione in indifferenza.
Il 17 febbraio scoppia la rivolta del popolo libico contro il proprio dittatore e oppressore; qualche giorno dopo i manifestanti, i civili, vengono bombardati dai caccia: è guerra civile.
Sono profondamente scioccata alla notizia dei bombardamenti sulla folla, una violenza inaudita, inaccettabile che ti stringe lo stomaco e non accetta giustificazioni di sorta.
Immediatamente il mio pensiero corre ad una persona che lavora a Tripoli, un'amica che non frequento più da molto tempo ma di cui sono periodicamente informata da un'amica comune.
Mi precipito a scrivere una mail (per motivi di fuso non telefono) a lei, all'amica comune, per chiederle se ha sue notizie.
Mi risponde a distanza di ore (sempre il fuso questo intruso); è preoccupatissima, riesce ad avere qualche informazione solo dalla mamma che le conferma che la figlia non può comunicare né con internet né con il cellulare ma solo attraverso le linee del telefono fisso.
Mi spiega che si trova con 2 colleghi italiani e insieme hanno deciso di raggiungere l'aeroporto cittadino nella speranza di riuscire a prendere un volo per l'Italia, altrimenti l'alternativa, poco felice e poco sicura, aggiungo io, si chiama Tunisia.
Non posso non chiedermi come potranno fuggire, forse con la macchina nonostante il terrore consapevole dei cecchini e dei mercenari che sparano sulla folla e all'impazzata.
Provo un'ansia indescrivibile e la immagino a vivere e ad affrontare una situazione di guerra e di disordine che per noi Europei delle generazioni post-belliche è quasi inconcepibile.
Le scene di guerra le vediamo nei film e ormai ci siamo praticamente assuefatti se non siamo addirittura incantati dagli effetti speciali, ma quando le esplosioni le senti con le tue orecchie e vedi con i tuoi occhi l'orrore penso che si apra una ferita nell'anima profonda, difficile da rimarginare, anche se per te finisce tutto bene... ma poi non sei più lo stesso!
Per un paio di giorni nessuno ha più notizie, la nostra amica comune è preoccupatissima e non sa come fare per avere almeno la rassicurazione che tutti e tre i colleghi stiano bene. Poi ieri sera, lei, dalla Libia, fa sapere sempre tramite la mamma, che si trova in aeroporto a Tripoli, ha in mano un biglietto per il giorno seguente, ma spera che il volo parta prima.
Questa mattina, verso le 10.00 californiane e cioè le 7.00 di sera italiane, ricevo un sms dalla nostra amica comune; è laconico ma racchiude in sé la forza dirompente della buona notizia.
Riesco quasi a vedere i muscoli del suo viso che si rilassano, il ghigno serrato per la tensione che lascia il posto al sorriso: “E' a Roma”.
E poi scendono le lacrime.
Un pensiero a chi è morto e sta morendo nella lotta per la propria libertà e dignità di essere umano.